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BEATA EUSTOCHIO DA PADOVA (Lucrezia Bellini)

BEATA EUSTOCHIO (LUCREZIA BELLINI) – VERGINE PADOVANA (1444-1469)
Nel 1965 un gruppo di alunni del «Tito Livio» di Padova compì un’importante e approfondita ricerca riguardante la vita della Beata Eustochio. Di seguito un testo liberamente tratto dalla rivista Padova e la sua provincia (Grafiche Erredicì), che nel novembre del 1982 volle offrire ai suoi lettori la trascrizione di quell’importante ricerca.

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Il 13 febbraio nella Chiesa si fa memoria della Beata Eustochio, una monaca che nella sua vita fu fortemente vessata dal demonio; alcuni biografi parlano addirittura di possessione.

La nascita della Beata Eustochio non fu proprio legittima: nacque a Padova nel 1444 da una monaca del monastero benedettino di San Prosdocimo e da Bartolomeo Bellini. Al battesimo le fu dato il nome di Lucrezia.Beata Eustochio (Lucrezia Bellini)

A quattro anni si cominciò a sospettare che la piccola Lucrezia fosse posseduta dal demonio. Spesso si mostrava sgarbata e arrogante verso i propri familiari, ma ciò – riferiscono i biografi – non era frutto della sua volontà, bensì delle vessazioni del Maligno. E comunque, anche in quei momenti la sua mente si manteneva lucida e raccolta in Dio.

Quando Lucrezia compì sette anni, il padre si convinse che ella lo volesse avvelenare. E per prevenirla pensò bene di ucciderla. Ma poi, non desiderando realmente che ella morisse, il demonio gli suggerì di affidarla alle monache dello stesso monastero dov’era stata concepita, affinché in mezzo a tanta corruzione anch’ella si perdesse. In quel monastero, infatti, la condotta delle monache era tutt’altro che virtuosa.

Il padre – quindi – nel 1451 la affidò alle benedettine di San Prosdocimo, non tanto perché le venisse data un’educazione religiosa – che certo in quel monastero non si impartiva -, ma solo perché imparasse i lavori femminili, secondo il costume dell’epoca, avendo intenzione – poi – di farla fidanzare e sposare.

Tra le educande, Lucrezia era la più giovane, l’unica che conducesse una vita illibata nella corruzione generale. In quell’anno la comunità si componeva di sette monache più la Badessa: le monache conducevano una vita peccaminosa, uscendo di frequente dal monastero, mischiandosi ai secolari a danno del loro buon nome e con disonore per il loro Istituto.

Ma la perfidia di quelle monache si spinse ben oltre, arrivando al punto di accelerare col veleno la morte della loro Badessa, una donna di sani costumi, che proibiva alle consorelle più giovani di uscire dal monastero nella speranza di ricondurle a una condotta di vita più santa.

Alla morte della Badessa, il Vescovo di Padova, Jacopo Zeno (1460-1481), proibì di eleggere una nuova Badessa tra le monache presenti nel monastero, per evitare che la vita religiosa continuasse in quella maniera scandalosa.

A questo punto, però, le monache e le educande – temendo una riforma – fuggirono presso parenti e amici. E nel monastero rimase soltanto Lucrezia.

Il Vescovo, allora, pensò bene di fondare una nuova comunità a San Prosdocimo, e fece giungere dal monastero della Misericordia, Giustina de Lazara, una nobile padovana e pia monaca, insieme ad altre suore ed educande di migliori costumi, creando Badessa la stessa de Lazara.

Lucrezia chiese di poter vestire l’abito monacale. Le altre monache, però, non la vedevano di buon occhio, essendo a conoscenza delle sue origini e credendola corrotta come le altre religiose che avevano occupato in precedenza il monastero.

Ciò nonostante, il Vescovo volle accogliere la sua richiesta. E così il 15 gennaio del 1461 Lucrezia fece il suo ingresso ufficiale in monastero assumendo il nome di Eustochio, in ricordo della fedele discepola di San Gerolamo, già beata della Chiesa.

In questo periodo, tuttavia, Eustochio cominciò a manifestare delle mancanze e ad apparire molto inquieta. Il confessore del monastero, allora, rivelò alla Badessa e alle altre monache che Eustochio era disturbata dal demonio, cosa – questa – che tra le monache suscitò una specie di ribellione, tanto che nessuna le voleva rivolgere più la parola.

Il primo ottobre del 1461 (il giorno seguente la festa di S. Girolamo), nel chiostro accadde un incidente: Eustochio, spinta dal demonio, si ritrovò a minacciare con un coltello le altre monache. Il confessore, accorso, costrinse, con degli esorcismi, lo spirito a parlare, e questo disse, per bocca di Eustochio, di essere stato inchiodato a un banco da S. Girolamo, protettore della monaca. Ed effettivamente, sembrava che ella non potesse muoversi di lì, e poiché continuava ad agitarsi pericolosamente, la legarono a una colonna per qualche giorno. Poi si calmò, ma naturalmente era troppo peggiorata l’opinione che di lei avevano le compagne.

Di lì a poco la Badessa si ammalò, senza che i medici riuscissero a capire la natura del suo male. Inoltre, si trovarono nel monastero strane «cose superstiziose» – come le definisce il Cordara, uno dei biografi della Beata -, e si pensò che fossero oggetti magici usati dalla Eustochio per avvelenare la Badessa.

Per mandato episcopale, in seguito a questi fatti, Eustochio venne incarcerata come fattucchiera, in attesa di essere processata e quindi essere messa a morte.

Le passavano soltanto pane e acqua, e ogni tre giorni veniva lasciata completamente a digiuno: i suoi carcerieri pensavano così di indurla a confessare le sue colpe.

Eustochio passava tutto il suo tempo pregando per resistere alle tentazioni del demonio, che le prometteva di aprire i catenacci e le porte della prigione nel caso in cui avesse rinnegato Cristo.

Dopo tre mesi di prigionia, grazie anche all’intercessione del suo confessore che la credeva innocente, Eustochio fu rinchiusa in infermeria, in una prigione più luminosa e vicina alle celle delle malate.

Un giorno il demonio, toltale la benda e lo scapolare, cercò di strozzarla: le monache, richiamate dal chiasso che proveniva dall’infermeria e, non ricevendo risposta alle loro invocazioni, sfondata la porta, la trovarono a terra svenuta e subito si prodigarono per rianimarla.

In seguito, Eustochio fu finalmente messa in libertà, ma con numerose restrizioni: non poteva recarsi nel coro né in chiesa per i sacri offici; non poteva andare in parlatorio né conversare con alcuno, nemmeno con i suoi parenti. Le altre monache avevano l’ordine di schivarla, pena la «scomunica», termine che in questo caso sta a indicare l’espulsione dalla comunità. Girava voce, inoltre, che Eustochio fingesse di essere tormentata dal demonio per suscitare la pietà del prossimo.

La povera Eustochio ricambiava quest’odio con profondo amore, e recitava spesso le preghiere della solennità di Santo Stefano, che è il Santo  invocato per poter amare i propri nemici.

Negli anni consecutivi il demonio continuò a tormentarla con incredibile crudeltà e nei modi più impensati: la batteva con un flagello di funicelle armato di punte di rame molto aguzze, la sfregiava e le incideva profondamente le carni con un coltello; la trascinava per terra, la gettava violentemente al suolo, la bastonava, la legava con funi così strettamente da toglierle ogni possibilità di movimento.

Ma non solo: spesso la povera Eustochio si sentiva come bruciare tra le fiamme di un rogo; altre volte le sembrava che tante lame di rasoio le straziassero le carni.

Un giorno il demonio la portò addirittura su un’altissima trave e, tra lo sgomento generale, minacciò di gettarla a terra se non avesse rinnegato Cristo; fortunatamente sopraggiunse il suo confessore che la salvò scacciando il demonio con gli esorcismi di rito.

Un’altra volta il diavolo le puntò un coltello al petto minacciando di colpirla al cuore. Ma ella, incrollabile nella sua fede, gli rispose di inciderle sul petto dalla parte del cuore il nome di Gesù.

A seguito di tutte queste sofferenze, le consorelle cominciarono finalmente ad averne compassione e la portarono nella Basilica di Santa Giustina a visitare la tomba di San Luca, protettore degli indemoniati: da questa visita ella trasse molto beneficio.

Eustochio si confessava spesso e ogni sette giorni si comunicava.

Finalmente, all’inizio del 1465, fu ammessa al coro e il 25 marzo alla professione. Essendo molto debole per le vessazioni del demonio e per le penitenze che s’imponeva, non poté nemmeno alzarsi dal letto per andare in Chiesa a ricevere il velo nero. Pertanto, il 14 settembre del 1467 – festa dell’Esaltazione della Santa Croce – lo ricevette, invece che dal Vescovo, dal confessore che glielo portò a letto. Sei giorni dopo, rimessasi in forze, tanto che alle sorelle parve un miracolo, poté recarsi in Chiesa a ricevere ufficialmente il velo, ma con un semplice sacerdote, perché nella sua umiltà non voleva che il Vescovo venisse scomodato.

Eustochio conduceva sempre una vita esemplare, rinunciava ai più piccoli piaceri come a ricamare, attività in cui era bravissima, e ad andare in parlatorio. Stava sempre sola, meditava sui libri spirituali, e aveva frequenti e edificanti colloqui col confessore intorno ai problemi dell’anima. Leggeva spesso la Sacra Scrittura, soprattutto le Epistole di San Paolo.

Giudicando di non dover possedere nulla per sé, diede alla Badessa la chiave della cassettina dove teneva le sue povere cose e quasi tutte le altre monache ne seguirono l’esempio.

Nel coro, la povera Eustochio scelse il posto più nascosto, perché i suoi occhi non si posassero sui fedeli o sul celebrante. Serviva e obbediva a tutte le monache, pregava per loro come anche per la salvezza dei suoi genitori.

In tutte le vessazioni non si lamentava mai, anzi sorrideva sempre e ringraziava il Signore. La sua grande fede era animata dalla profonda convinzione che la vita terrena è soltanto una prova a cui Dio sottopone ciascun uomo in vista del premio o del castigo eterno. Appunto per questo riteneva di essere particolarmente fortunata per quelle terribili vessazioni che mettevano a dura prova la sua fede in Cristo.

Non paga di quei tormenti che le procurava il demonio, s’imponeva da sé altre penitenze: ad esempio mangiava pochissimo, una sola volta al giorno, verso sera. E inoltre, pur essendo tanto debole da doversi reggere con un bastone, a ventitré anni continuava a digiunare due giorni alla settimana.

Rifiutava ogni vanità, possedeva una sola veste, e pur soffrendo d’insonnia, si alzava prestissimo la mattina per recarsi in Chiesa a pregare. Sempre per non indulgere alla benché minima gioia dei sensi, non si concedeva mai la vista di un oggetto curioso, né il piacere di una vivanda gustosa o lo svago di una semplice passeggiata…

A causa di queste continue privazioni, la sua bellezza, per essendo giovanissima, era completamente sfiorita, e il suo fisico debilitato. Ma non la sua mente e il suo cuore, che restavano sempre fermamente ancorati in Cristo.

Dai 23 ai 25 anni pregò continuamente, comprendendo ormai di essere vicina alla morte. E per vincere quel naturale timore che il pensiero della morte suscita in ogni essere umano, volle essere presente nel momento del trapasso delle cinque consorelle che resero l’anima a Dio nell’ultimo anno della sua vita.

Il demonio negli ultimi anni della sua vita la vessò in maniera ancora più dura, cercando invano di tagliarle le arterie, tanto che quello che usciva dalle sue ferite non sembrava più nemmeno sangue, ma acqua sanguigna.

Undici giorni prima della sua morte, le vessazioni fisiche aumentarono di intensità e frequenza. Poi il demonio cessò di tormentarla nel corpo, provandola invece nello spirito: le procurava visioni di divertimenti sfrenati, di orge, bagordi; la terrorizzava dicendole che certamente sarebbe andata all’inferno, sperando, in questo modo, di suscitarle disperazione e cattivi pensieri.

Ma Eustochio non cedeva alle tentazioni e ai tormenti, ammonendo le sue consorelle che neppure in punto di morte possiamo essere certi della nostra salvezza, poiché basta un unico cattivo pensiero per rendere vana la fatica di tutta una vita condotta santamente.

Ormai la sua vita volgeva al termine: sette giorni prima della sua morte, raccogliendo le sue ultime forze, Eustochio poté andare in Chiesa per prendere il Viatico, e fu quella l’ultima volta che vi si recò.

La domenica precedente la sua morte chiese di potersi confessare, sentendo che sarebbe stata l’ultima. Pregò poi Eufrasia – la sua consorella più cara – di non lasciarla sola in quella notte.

In quelle ultime ore Eufrasia la vegliava amorevolmente, standole accanto nell’oscurità della sua celletta, quand’ecco che verso mezzanotte un rumore cupo e improvviso la fece trasalire: un rumore come di qualcuno – riferirà Eufrasia – che cerca di arrampicarsi lungo il muro della cella come per uscirne. Dopodiché la cella tornò nel silenzio più assoluto, e il chiarore argenteo dei raggi della luna che filtravano dalla finestrella fecero apparire agli occhi di Eufrasia la serena bellezza di quel volto non più turbato dalla presenza diabolica.

Il giorno successivo Eustochio era ancora in vita, composta nella sua serenità. In uno sforzo finale, chiamò a sé la badessa e le altre monache per dar loro l’ultimo saluto. Chiese perdono del cattivo esempio e del disturbo che aveva arrecato con i suoi travagli. Poi chiuse gli occhi e, senza che nessuno se ne accorgesse, come se si fosse dolcemente addormentata, spirò. Era il lunedì del 13 febbraio del 1469.

Immediatamente dopo la sua morte numerosi furono i prodigi che ne confermarono la santità.

Nel momento in cui ella spirava, il confessore si addormentò e gli apparve in sogno la Beata rilucente di gloria che gli disse: «O quanta dolcezza, o quanta allegrezza, o quanta beatitudine!». Poi scomparve ed egli si destò con una soave dolcezza nel cuore.

In quella stessa ora – nell’ora della morte – ad alcuni cittadini parve di vedere l’immagine di Eustochio che ascendeva al cielo. E così in città si venne a sapere della sua morte, prima ancora che la notizia fosse data ufficialmente dalle monache.

Coloro che, mentre era in vita, l’avevano calunniata, la piansero pentiti. Poi, quando le consorelle si accinsero a compiere le pietose pratiche funebri – com’era d’uso – nel lavarne il corpo trovarono inciso all’altezza del cuore il nome IESU, segno evidente dell’amore ch’ella portava a Cristo anche nei tormenti più atroci.

Dal suo corpo emanava un soave odore che non trovava riscontro in alcuno dei profumi esistenti sulla terra e che venne perciò definito dai biografi «odor di Paradiso». Tale profumo perdurò per anni nei pressi del sepolcro; era però percepibile non da chi vi si accostasse per curiosità, ma solo da chi vi si recava per pregare.

Beata Eustochio da Padova (Lucrezia Bellini)Dopo averla lavata, dunque, le consorelle la vestirono dell’abito monacale e la seppellirono in terra nel chiostro del monastero. Intanto si sparse dentro e fuori città la fama della santità di Eustochio, accresciuta dai numerosi prodigi, tanto che si composero inni e preghiere in suo onore, sebbene il culto non fosse stato ancora autorizzato.

Grande era l’afflusso dei fedeli al suo sepolcro, soprattutto degli indemoniati che ricevevano molto giovamento e che spesso – grazie a quelle visite – venivano completamente liberati dai disturbi diabolici.

Tre anni e nove mesi dopo la sua morte, moltiplicandosi i miracoli e perdurando il profumo, il vescovo Jacopo Zeno accordò il permesso di riesumarne i resti per riporli in una sepoltura più degna.

La traslazione avvenne il 16 novembre del 1472. Benché Eustochio fosse stata inumata senza cassa, si ritrovarono il corpo e i vestiti intatti. La salma fu coperta di nuove vesti e le vecchie vennero usate per farne delle reliquie; quindi, venne deposta in una cassa di cipresso nel Capitolo del monastero.

Tre anni dopo, il 14 novembre del 1475, la cassa fu trasportata in chiesa e posta alla sinistra dell’altare maggiore, in un monumento di marmo, sulla cui lastra fu inciso «Beata Eustochio Paduana».

Nel 1676 fu costruito un apposito altare, dove però il corpo non era sempre visibile. Poiché il popolo voleva poterlo vedere, intorno al 1720 le monache fecero erigere un altare di marmo sopra il piano del quale, tra le colonne, fu posta una tela con l’effige del transito della Beata. Posto in un’arca di cristallo, il corpo adesso era visibile dietro una grata d’oro.

Dato che sin dalla sua morte moltissimi erano stati i prodigi, la sua prima sepoltura non era stata richiusa, ma soltanto coperta con delle tavole. Dopo il giorno dell’Epifania del 1473, cominciò a sgorgare da questa fossa un’acqua limpidissima che venne definita non di natura terrena.

Dato che quest’acqua aveva effetti prodigiosi sugli ammalati, veniva attinta di continuo e, ciò nonostante, risaliva sempre allo stesso livello. In alcuni periodi cessava di sgorgare, ma poi tornava anche in quantità maggiore, persino nei periodi di siccità, quasi a confermarne la natura miracolosa. Poi nel 1805 cessò per sempre di sgorgare.

Il 12 settembre del 1806, alle due del mattino, il corpo della Beata fu traslato di nascosto nella Chiesa di S. Pietro; durante il tragitto scomparvero, forse rubate, due dita e una parte della mano destra della Beata. Nonostante le precauzioni prese, perché il trasportò rimanesse segreto, vi accorse una gran folla che seguì il corteo finché il corpo fu collocato nella cappella che guardava il Capitolo delle monache di San Pietro.

La Beata Eustochio è invocata contro ogni sorta di diaboliche tentazioni, contro le possessioni, le infestazioni spiritiche, le vessazioni sataniche, le calunnie, le ingiustizie e le prepotenze, per sventare le macchinazioni e gli inganni diabolici.

A motivo della sua vita costantemente in lotta col Maligno, la Beata viene anche considerata la speciale protettrice degli esorcisti.


PREGHIERA ALLA BEATA EUSTOCHIO
(Imprimatur Mons. Dr. Mario Morellato. Vic. Gen. – Padova 29/3/2000)

O potente nostra avvocata, Beata Eustochio, tu fosti suscitata fra noi da Dio, per essere un luminoso modello di virtù, soprattutto di straordinaria pazienza. La tua vita, segnata dalla Croce, ne è prova evidente. Prega ora per noi! Ottienici, ti preghiamo, la grazia di camminare sulla scia dei tuoi esempi e di considerare le tribolazioni e le sofferenze di questa vita, come un dono che ci viene dalla mano paterna di Dio, per il nostro vero bene. Fa’ che abbracciamo, a tua imitazione, con pace e fiducia, le sofferenze della nostra vita, certi di essere un giorno premiati dal Dio della pazienza e della consolazione. Sia Egli stesso l’abbondante ricompensa, per quanti si sottomettono volentieri alle sue amabilissime disposizioni. Così sia. 

Padre Ave Gloria 

– prega per noi Beata Eustochio,
– affinché siamo resi degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo. Onnipotente Eterno Dio, che rafforzasti la Beata Vergine Eustochio contro le potenze delle tenebre con una ammirevole virtù e un’invincibile pazienza, per i suoi meriti e per le sue preghiere, concedici, una volta liberati da ogni demoniaca influenza, di servirti con l’animo riposto in Te. Per Cristo Nostro Signore, Amen.

5 Pater e 5 Ave in onore delle 5 Piaghe del Redentore


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